di Alessandra Tinti
Il teatro mi piace, mi emoziona. Ma da quando mi intereresso delle problematiche delle persone con Afasia, lo guardo in modo diverso. Come riabilitatrice sento di avere molto da imparare da qualcuno in grado di osservare l’Altro con tanto acume da saperlo replicare nei gesti, nel modi, nelle inflessioni dialettali…. chi si occupa di riabilitazione – per definizione – si occupa di “trasformazione”, o almeno così dovrebbe essere (i piu’ agiscono quasi sempre per riportare il paziente ad una situazione “pre-morbosa” nell’illusione che il problema sia il meccanismo inceppato del linguaggio). Mentre il riabilita tore dovrebbe essere un “agente di cambiamento” in grado di sollecitare, stimolare, facilitare il faticoso processo di trasformazione del suo interlocutore.
Come riuscirvi se nessuno ti ha mai fornito un metodo di percezione/osservazione del sé e dell’altro, se tu stesso non ti sei mai sottoposto ad un allenamento fisico e vocale? Come “attivare” i processi cognitivi dell’Altro se la tua stessa immaginazione è bloccata? Osservare l’altro e osservare se stessi, vedere nell’essere visti è il fondamento di ogni tipo di relazione sociale e terapeutica. Ma non è tutto cosi’ scontato. Occorre imparare ad osservare, prima di tutto. Occorre imparare a padroneggiare il proprio sistema emozionale, superare gli automatismi gestuali per aiutare l’Altro a superare i propri e a riappropriarsi del movimento in relazione allo spazio. Occorre essere creativi. E la creatività si impara.
Negli ultimi anni c’è stato un crescente interesse verso l’applicazione delle metodologie teatrali, e più in generale delle arti espressive, alla terapia del linguaggio. Negli Stati Uniti vengono organizzati corsi di introduzione al teatro creativo per terapisti che desiderano utilizzare questa metodica nel proprio lavoro quotidiano (Kersner & Kerr-Edwards, 1989), e diversi approcci sono stati documentati da Barnes (1988;) Kersner (1986;) e Landy (1985.).
Ovunque si legge che l’attività espressiva nell’ambito dei giochi teatrali possiede in sé dei potenziali terapeutici in quanto permette di duplicare la realtà in modo simbolico e quindi manipolarla come fosse un oggetto esterno a noi e contemporaneamente vivere una situazione di gruppo e riconoscere altri che vivono la medesima esperienza, il che hai effetti psicologici positivi accrescendo l’autostima e la possibilità di esprimere il proprio vissuto.
Questo ci legittima a pensa re che le tecniche espressive possano diventare uno strumento utile a riattivare e potenziare settori solitamente non esplorati o considerati arbitrariamente deficitarii, o ancora funzioni non evolute o regredite come quelle legate al mondo della comunicazione non verbale; inoltre l’ “alfabetizzazione” teatrale, come strumento metodologico-didattico trasversale ai linguaggi, consente di realizzare una concreta metodologia interdisciplinare che attiva i processi simbolici e potenzia e sviluppa la molteplicità interattiva delle competenze e delle abilità connesse sia con la comunicazione sia con il pensiero.
L’esperienza vissuta in ALIAS ci insegna che… c’è un numero infinito di combinazioni di tecniche di teatro creative che possono essere utilizzate in ambito clinico: un lavoro sulle abilità non verbali può essere una scelta appropriata sia per persone che non riescono a parlare sia per chi utilizza un sistema alternativo di comunicazione. Varie tecniche possono aiutare a sviluppare appieno il potenziale degli aspetti non-verbali della comunicazione dei singoli soggetti, ad esempio un efficace utilizzo del contatto oculare, dello spazio circostante, dell’espression e facciale e dei gesti. Un lavoro sugli aspetti non verbali della comunicazione può essere vantaggioso anche con persone che hanno mantenuto la capacità di parlare seppure con difficoltà; lavorare sulle abilità sociali è comunque utile perché fornisce la possibilità di “scoprire” comportamenti e reazioni senza concentrarsi in modo ansiogeno sul proprio linguaggio. Inoltre, lavorare sul non verbale può ridurre la pressione sulle persone con afasia e aiutarle a sviluppare fiducia nella propria capacità di comunicare. Al contrario, le persone che conservano la possibilità di parlare avranno ovviamente bisogno di tecniche che permettano loro di allenare e estendere le loro esperienze comunicative. In questo caso, le sessioni dovranno incorporare giochi di parola, creazioni di storie, caratterizzazioni e giochi di ruolo. infatti, le idee sono limitate solo dall’immaginazione del terapista.
Dal punto di vista pratico, non vi sono particolari necessità per quanto riguarda l’ambito di lavoro e non c’e’ bisogno di una preparazione particolarmente elaborata. Noi per scelta non abbiamo tenuto in considerazione l’opzione dell’uscita “pubblica” del lavoro svolto sul palcoscenico, nonostante ci possano e ssere occasioni nelle quali è possibile e auspicabile organizzare una rappresentazione che fornisca alle persone lo stimolo necessario per sviluppare le proprie competenze. Ovviamente in questo caso gli scopi non sono necessariamente gli stessi del “teatro” per definizione. Oltre a aiutare gli individui ad acquistare la sicurezza necessaria per fornire una prestazione “pubblica”, questa situazione implica sempre uno sforzo di gruppo fornendo l’occasione per lavorare sulla cooperazione interattiva e sull’interazione tra pari. Questi sono diversi ma importanti aspetti della comunicazione.
Il teatro ha effetti terapeutici sia principali (miglioramento del linguaggio e delle abilità comunicative) che secondari sullo stato di benessere della persona, in pratica sulla sua “salute psicologica”. Si scopriranno infatti – nelle persone – cambiamenti positivi come ad esempio un aumento di fiducia in se stessi, l’effetto catartico di avere “tirato fuori” qualcosa da se, nonché il piacere di essere stato a contatto con altri, quando precedentemente tutto ciò era sembrato impossibile. Ovviamente questi cambiamenti possono essere riferiti in modo aneddotico mentre è più complesso riuscire a misurarli.
È importante ricordare tuttavia che questi cambiamenti sono un caso fortuito, quantunque vantaggioso, del lavoro “teatrale”. Per chi se ne occupa, lo scopo principale è agevolare e incoraggiare lo sviluppo di abilità comunicative e, ove possibile, abilità linguistiche. Per questo occorre stare attenti a non confondere i propri scopi pensando di praticare della “teatro terapia”, una forma specializzata di psicoterapia che utilizza tecniche teatrali per permettere al cliente di acquisire consapevolezza sulla sua psiche. In quest’ultimo caso lo scopo è la guarigione terapeutica, che può a sua volta permettere la crescita personale del cliente, mentre il miglioramento della capacità di comunicare è accidentale. In sintesi, la teatro-terapia è una terapia in cui le dinamiche di gruppo rappresentano una parte intrinseca della guarigione e del processo terapeutico.
Tornando a noi, le tecniche teatrali possono dimostrarsi essere un’aggiunta utile al repertorio della terapia della afasia. Il teatro è un mezzo che merita di essere esplorato poiché può offrire un contesto diverso e strutturato all’interno del quale lavorare con soddisfazione…per coloro che scelgono di aprire la strada a vari modi di ri-abilitare, le ricompense possono essere grandi e i percorsi attraverso i quali si può ottenere un cambiamento nuovi e attraenti .
Nella realizzazione sperimentale del modello di intervento, noi abbiamo utilizzato una metodologia integrata che attraverso la didattica dei linguaggi verbali e non verbali e artistici propri della teatralità, mirava, un po’ ambiziosamente, a saldare la frattura (tipica del mondo riabilitativo dell’ adulto ) tra didattica cognitiva e potenziamento delle capacità della persona, intesa come complesso di interattività tra le componenti percettivo-motorie, logico-razionali, creative, e affettivo-sociali.
In sintesi, sulla base dell’esperienza vissuta in ALIAS, ritengo che il teatro possa aiutare chi ha visto compromettersi il suo linguaggio, fornendogli un contesto sicuro e protetto all’interno del quale sperimentare se stessi. Inoltre, mentre le tecniche espressive possono incoraggiare lo sviluppo di quelle abilità sociali che nell’afasia risultano spesso ridotte dal difficile accesso allo strumento linguistico, la stimolazione sensoriale può aumentare la consapevolezza corporea e mentale di ciascuno di noi e permettere di armonizzarsi con una coscienza di sé “diverso” dagli altri ma soprattutto diverso dal “passato”. E ancora, in un contesto del genere, si possono utilizzare anche gli effetti benefici di una esposizione alle musica, alle sensazioni tattili, agli odori…così come altre tecniche possono incoraggiare nell’esecuzione di movimenti semplici chi ha residuato oltre all’afasia problemi motori, e questo può a sua volta condurre a forme preliminari di contatto con altri. Tutti questi elementi essenziali di “comunicazione” possono essere stimolati, utilizzando tecniche di teatro creative, con la consapevolezza che esperienze di questo tipo, giochi simbolici ed “esplorazioni guidate” possono avere un ruolo fonda mentale anche nello sviluppo delle capacità di simbolizzazione e rappresentazione, fulcro di criticità nella afasia.
Purtroppo, per ragioni logistiche, abbiamo dovuto interrompere l’esperienza dopo alcuni mesi e a tutt’oggi non l’abbiamo ripresa. Nel frattempo continuiamo a rifletterci sopra. In particolare io sono immersa nella ricerca di una nuova modalità di applicazione dello strumento osservazionale. Non più oggettiva e riduttiva analisi di frammenti di comportamenti comunicativi della persona con afasia, come si verifica nel tradizionale setting riabilitativo terapista-paziente, bensì indagine sulla relazione interpersonale e sul sistema osservatore. Secondo questo approccio sistemico alla comunicazione, l’uso dello spazio, la scansione del tempo, l’atteggiamento posturale, l’utilizzo di oggetti, le variazioni del tono muscolare e della voce della persona con afasia vengono ricavati da una analisi dell’interazione con l’osservatore, che partecipando attivamente al processo comunicativo interpreta e attribuisce un senso ai propri e altrui comportamenti comunicativi. Confesso che faccio fatica, ingabbiata come tutti i logopedisti nel sistema parola e per questo ho scelto di immergermi personalmente nel contesto interattivo del te atro (frequentando un corso Biennale di Formazione per Operatore Pedagogico Teatrale), specifico per questo tipo di analisi osservazionale perché promuove uno stretto legame tra osservatore e osservato, dal quale penso di ricavare nuove informazioni e conoscenze.
In ogni caso si tratta di uno strumento utile a superare la modalità di osservazione distaccata e naturalistica tipica del riabilitatore “tradizionale” per fornire l’idea costruttiva della realtà da parte di ogni soggetto umano, fallace, incontrollabile, ma coerente con il sistema relazionale.
Tesi elaborata nel 2007 a conclusione del Corso Biennale di Formazione per Operatore Pedagogico Teatrale organizzato dal Teatro dell’Ortica, in collaborazione con la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova.
L’immagine in copertina rappresenta un momento delle prove teatrali della piéce “Metronome” a cura di Theatre Aphasique, compagnia teatrale canadese (costituita interamente da persone con afasia), presso cui ho avuto la fortuna di svolgere uno stage nel 2007; durante questo tirocinio ho elaborato alcuni dei concetti principali espressi in questa tesi.
LA-Polisemia-della-maschera-Afasica-e-il-Teatro-Sociale-come-luogo-di-disvelamento