Scopo della Terapia. E’ basato sulla sua rilevanza rispetto alle necessità quotidiane del paziente o deriva da una osservazione dei sintomi o piuttosto è definito sulla base di quanto evidenziato dai test standardizzati? Per esempio un paziente non riesce a denominare le figure nel test e dunque lo scopo della terapia diventa portarlo a riuscire a denominare le figure. L’utilità funzionale viene scotomizzata come cosi’ come la relazione fra questo e altri problemi di linguaggio del paziente. Molte difficoltà nel dimostrare l’efficacia della terapia dipendono proprio da questa mancanza di specificità sul focus della terapia. Se non è chiaro su cosa si focalizza la terapia rispetto alle necessità del paziente, è dura dimostrare che c’è stato un miglioramento.
Razionale della terapia. Come la terapia si propone di ottenere i suoi scopi è un aspetto cruciale del link tra l’analisi dei deficit e il processo riabilitativo. Una procedura riabilitativa potrebbe essere fatta per ripristinare il funzionamento di un certo aspetto del linguaggio, sradicare un sintomo, o stabilire un uso piu’ efficiente del linguaggio. Negli studi si afferma invece molto genericamente che la terapia modificherà il linguaggio in qualche modo. Questa non è solo una omissione di aspetti teorici. Ci sono implicazioni nella prassi. nella pratica quotidiana il logopedista si comporta come se sapesse che effettuare un compito linguistico significa agire sul sistema del linguaggio e portare a un cambiamento nella processazione linguistica. La relazione sembra implicita come fosse un algoritmo ipso facto.
Manca chiarezza sulle strategie usate in terapia. La terapia potrebbe essere interpretata come un lavoro eseguito direttamente sula funzione o la ricerca di una modalità alternativa di esprimere quella funzione o un tentativo di bypassarla. Esempio la MIT è un lavoro sull’emisfero destro e quindi bypassa la normale funzione linguistica dell’emisfero sn o piuttosto mira ad amplificare quella parte di linguaggio (del sn) che utilizza gli aspetti prosodici normalmente?
Le task utilizzate sono descritte molto bene specie negli studi di impostazione neuropsicologica o comportamentale. Anche i materiali o i metodi di presentazione. Tutto cio’ contrasta molto con l’assoluta mancanza di dettagli sugli aspetti interazionali. Non siamo tutti d’accordo, non è nella nostra percezione, che in realtà sarebbe questo l’aspetto fondamentale del processo terapeutico? Alcuni studi comportamentali dicono cosa il paziente dovrebbe fare e cosa il terapeuta dovrebbe rispondere ma la gamma di possibilità e’ molto ridotta e non vengono esplicitate ipotesi che mettano in relazione la metodologia della relazione con gli scopi della terapia. Quindi non è esplicitato il razionale teorico secondo cui la risposta del terapeuta dovrebbe essere in grado di facilitare i cambiamenti nel linguaggio del paziente. Si parla di feedback del tipo “corretto/incorretto” senza nulla di qualitativo ..molti non spiegano al paziente cosa stanno facendo, perche’ lo fanno o non modificano la task sulla base dell’osservazione della performance del paziente.
Raramente si cerca di capire gli effetti della terapia su una funzione correlata ma non trattata o su non correlata e non trattata. Non ci si interroga sulla mancata generalizzazione o sulla riuscita generalizzazione. Tuttavia questo non ha impedito a chi ha condotto gli studi di dire che ci si aspettava una generalizzazione, di prevederlo. Utilizzare batterie standardizzate come misura del trattamento logopedico nella afasia non misura una eventuale generalizzazione.
Il termine terapia è usato come sinonimo di task. La terapia viene descritta descrivendo le task come ad es. l’accoppiamento figura-parola scritta, la ripetizione, l’indicazione di figure, ecc. Es. la PACE di Davis e Wilcox, spesso descritta come approccio terapeutico in realtà è una accurata descrizione di come è possibile condurre una terapia. Non descrive la terapia in se stessa, cioè i modi attraverso i quali terapeuta spinge il paziente a sfruttare tutte le modalità comunicative che possiede (ad es. come facilitare l’uso di un gesto).
Molte terapie descritte riguardano task complesse che andrebbero analizzate separatamente per capire quale serie di processi terapeutico si è realizzata e invece vengono considerate tutte insieme.
Il paziente è spesso un recipiente passivo della terapia che deve mettere in pratica dei compiti, dunque si dovrebbe parlare per lo piu’ di “training” (allora si ‘che il logopedista è un tecnico…) piuttosto che di terapia che prevede necessariamente una interazione.
OCCORRE RICORDARE CHE IL PROCESSO TERAPEUTICO E’ ESSENZIALMENTE UN PROCESSO INTERATTIVO NEL QUALE IL TERAPISTA E IL PAZIENTE SONO PARTNER QUINDI ALLO STESSO LIVELLO.
Nel setting terapeutico ideale sono coinvolti 5 protagonisti: il paziente, il logopedista, il linguaggio nei suo aspetti integri e danneggiati, il focus della terapia (uno specifico aspetto della compromissione del linguaggio, una strategia per superarlo, un aspetto preservato da enfatizzare ), la task e i materiali. La letteratura sembra prendere sul serio solo il ruolo del terapista, la task e i materiali; il paziente è il punto finale di cio’ che il terapista fa con i materiali. Al contrario, il paziente, con i limiti ovvi del suo stato di afasico, dovrebbe essere coinvolto attivamente nel percorso decisionale riabilitativo e le sue considerazioni dovrebbero essere interpretate e valutate seriamente…
Quindi, tenendo sempre presente i 5 protagonisti, nel fare un planning terapeutico, occorrerà considerare che le task e i materiali sono il modo attraverso cui la terapia viene svolta, non il focus della terapia (come scelgo i materiali? Quali caratteristiche psicolinguistiche e cognitive devono avere e come queste si collegano al danno del linguaggio e allo scopo della terapia? Come strutturo le task?
LA TERAPIA E’ BEN PIU’ DI UNA TASK
A questo punto mi sembra chiaro perche’ occorra prima di tutto parlare di modelli e dopo guardare alla prassi