Al termine di una seduta di terapia, mi è capitato spesso di sentir chiedere, da parte di un familiare e con tono scherzoso “…è stato bravo?” o ancora “lo promuove?” al che noi operatori in genere pedantemente osserviamo che “non si tratta di bambini…questa non è una scuola” , ecc.ecc., nell’ansia di evitare il pericoloso e frequente parallelismo “persona con difficoltà di comunicazione = bambino in situazione di apprendimento”.
Ma in realtà c’è da riflettere anche su altro punto, che forse potrebbe farci vedere la situazione in modo diverso. Diversi anni fa, in occasione di una mia visita presso il Centro di Formazione di Settimo Torinese, confrontandomi con la collega Giuliana Testa che aveva promosso l’iniziativa, ho realizzato che il topic della “scuola” (costantemente riproposto dai familiari ma anche dalle stesse persone con afasia) è rivelatore di un desiderio di “normalità” tutt’altro che risibile. Se non posso apprendere niente, mi faceva riflettere Giuliana, non sono più nessuno…
Ecco allora che il tema dell’educazione torna ad occupare lo spazio che merita nel mondo della riabilitazione dell’adulto…del resto non sarà un caso se il primo partenariato costituitosi in Europa tra Centri che a vario titolo si occupano di afasia, riguardava proprio il tema dell’apprendimento in situazione di afasia (il Progetto LAPH al quale abbiamo partecipato nel lontano 2014).
Ricordiamoci che in Nord-Europa esistono da piu’ di venti anni scuole con corsi dedicati a persone con afasia che vogliono strutturare competenze utili a re-immettersi nel mondo del lavoro. E in Italia? In Italia tuttora pochi hanno sentito parlare di afasia, nonostante la sua diffusione, e di conseguenza le esperienze educative occorre cercarle con il lanternino. L’abbiamo fatto. E siamo finiti, ormai molti anni fa, a Settimo Torinese, a verificare una delle più felici e rare esperienze di collaborazione che io abbia mai visto, tra istituzioni e a beneficio di persone con afasia
Una collaborazione tra gli utenti del Servizio di Logopedia della ASL7 di Settimo Torinese e il Centro Territoriale Permamente per l’istruzione e la formazione in età adulta di Settimo Torinese. Qui lavorava la collega Giuliana Testa che ha fornito l’input circa la possibilità di identificare itinerari formativi di alfabetizzazione comuni alle persone straniere e ad alcuni pazienti con afasia; l’invito è stato prontamente accolto dall’insegnante Marisa Provera del CTP di Settimo che ha dato vita al primo corso di “alfabetizzazione” misto, costituito cioe’ da cittadini stranieri e persone con afasia, tuttora attivo con soddisfazione di tutti. Abbiamo intervistato Marisa la cui serenità nella gestione dell’aula ci ha confermato quanto possa essere utile, soprattutto alle persone con afasia, il coinvolgimento nei percorsi di re-integrazione di attori/operatori sociali estranei al mondo sanitario e quindi privi di quel pesante retaggio che ogni riabilitatore si porta dietro circa la “norma” da rispettare spesso a scapito dell’evoluzione naturale dell’individuo.
L’insegnante Provera, peraltro non nuova ad esperienze innovative nell’ambito dell’insegnamento (ha tenuto corsi rivolti ad utenti ospiti di una RSA) ci ha parlato di un’aula molto eterogenea nella quale l’esplorazione della capacità individuali va condotta con grande naturalezza e “sempre” sdrammatizzando la situazione, non interpretando più di tanto ma ricordandosi che uno degli scopi prioritari dell’iniziativa è la socializzazione. A questo proposito come forse era ovvio prevedere, non c’è stata grande integrazione in aula fra partecipanti stranieri e partecipanti italiani e non solo per l’incostante presenza degli stranieri quanto più probabilmente per una difficoltà oggettiva per qualsiasi insegnante nel gestire contemporaneamente le esigenze individuali e quelle del gruppo (la coesione di più individui, soprattutto così distanti, richiederebbe di per se’ un lavoro enorme). Marina conviene con noi che l’unico limite di una esperienze del genere è la mancanza di tempo che impedisce l’approfondimento a livello individuale.
L’ultima considerazione che è doveroso fare riguarda ancora il coinvolgimento di figure “altre” rispetto alle canoniche figure riabilitative: un insegnante deve conoscere la natura del problema, ovviamente, ma ha il grande vantaggio di non avere nella mente etichette di sorta circa “quel” particolare disturbo, non ha l’ansia di dare un nome ad ogni segno che si renda evidente e dunque nel porre le sue richieste probabilmente seguirà davvero le necessità educative del soggetto mentre noi logopedisti con difficoltà usciamo dal nostro ruolo fortemente connotato di “normatività”