C’è un personaggio di una canzone di De Andrè che da piccolo sognava di diventare medico per guarire i ciliegi che credeva feriti a causa dei frutti rossi, una vocazione che si realizza per amore ma che poi il sistema spegne quando il medico – diventato adulto – capisce che “fare il dottore è soltanto un mestiere/che la scienza non puoi regalarla alla gente/se non vuoi ammalarti dell’identico male/ se non vuoi che il sistema ti pigli per fame”.
In ogni caso tutti i professionisti della salute sono accomunati da un destino terribile, quasi che la conoscenza implichi necessariamente il venire a contatto con il dolore. Questo prendersi cura infatti ha a che fare con il potere dell’uomo sull’uomo.
Ma so che nel mondo esistono tanti guaritori feriti, per fortuna, persone che hanno superato la scissione dell’archetipo guaritore-paziente, esseri umani capaci di riconoscere dentro di sè tutti gli aspetti di cui i pazienti sono detentori in quel particolare momento, e quindi diventare loro compagni di viaggio.
Uomini e donne che hanno unito alla competenza professionale la riflessione filosofica e a volte poetica sul significato e le implicazioni del gesto di cura.
Proprio qui a Genova, ad esempio, c’è un mio amico, medico neurologo in Ospedale, che spero non perda mai la voglia di curare i ciliegi malati in ogni stagione, e di scrivere poesie come questa:
Mi avvicino, mi stringi la mano, ti visito con mezzo sorriso, si faranno esami, prendiamo tempo, ma io so cos’hai nella testa e tu puoi solo sperare..io so che non c’e’ tempo ancora e tu non sai se potrai programmare.
Conosco per nome il tuo cancro, l’ho visto passare centinaia, migliaia di volte e magari saro’ il prossimo a cui mentire.
Ma ora sei tu, nell’angolo dei senzatempo..e le occasioni perdute, oh le occasioni perdute, una lacrima per volta, torneranno una ad una.
Torno a casa
ho ancora il mio tempo
ma corro, non penso
dovrei fermarmi, sdraiarmi, giocare
non c’e il mio numero sulla ruota
ma e’ questo l’inganno
la vita diventa chiara
solo quando ti saluta
Andrea Assini
La poesia è ferita e farmaco insieme
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