Per vedere con gli occhi dell’altro, bisogna avere davanti cio’ che lui vede, bisogna dunque avere qualcosa in comune (Francesco Novara)
Mi occupo di problematiche di persone con afasia, fin dall’inizio della professione. Qualche anno fa, per ragioni personali, ho messo a fuoco anche le mie problematiche finora mistificate e l’antica scelta di confrontarmi non a caso con la patologia della comunicazione per eccellenza. L’ afasia, come difficoltà (anche mia) ad abitare uno spazio. A 40 anni mi sono scoperta “guaritrice ferita”, piu’ ferita che guaritrice. Ho rimesso molto in discussione il mito della guarigione, speranza irrealizzata e irrealizzabile, promessa che non può esser né fatta né mantenuta, ma che resta sempre sullo sfondo nella mia relazione con il paziente con afasia, anche quando credo di essermi spesa tutta nell’accompagnare l’altro/a e me stessa in un differente percorso in cui la parola guarigione viene scandagliata, sofferta (e superata?). Mi chiedo come io possa aiutare la persona con afasia a concentrarsi di piu’ sul legame che ha con l’intreccio della vita a partire dal suo essere soggetto corporeo, quando io sono la prima ad avere difficoltà in tal senso. Ritengo fondamentale che nella formazione degli operatori sanitari siano incluse le Medical Humanities. Solo abbondanti riflessioni etiche, filosofiche e letterarie ci permetteranno di ripensare all’esistenza della persona sotto l’impatto della medicina moderna. Nel caso della Persona con Afasia, in particolare, il professionista deve avere riflettuto molto sulla questione del Potere insito nella relazione con un soggetto che non ha piu’ confidenza con lo strumento verbale e di conseguenza sul particolare impatto che le pratiche di cura hanno su quel dato individuo.
Ma oltre a trovare nel mito del guaritore ferito un preciso e rigoroso imperativo (la cura è sempre vincolata in un certo modo a una ferita di cui tenere conto), so bene di essere immersa in una prassi in cui come “corpo curante” dovrei garantire la stabilità di un assetto sociale storicamente datato. Sento molto l’esigenza di trovare, all’interno di questo assetto sociale, un confronto che non si limiti a codificare il complesso in semplice e a ridurre o eliminare ciò che confonde, disordina, contraddice ma ci permetta di trovare insieme strategie per trasformare l’inguaribilità (che ci accomuna) da condanna a scelta liberamente assunta.
La curatrice ferita
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