La sua malattia si è manifestata con piccoli disturbi comportamentali, fattisi via via più importanti (allontanamenti da casa diurni e notturni, senza saper ritrovare la strada, compulsione verso il cibo, aggressività e volgarità del linguaggio). Fin dall’inizio provato mille sentimenti e decozioni ansia, senso di solitudine e vergogna. Vergogna per quei comportamenti socialmente criticati (…) come fossero caratteristiche proprie della persona (…) mia madre non era una persona aggressiva, aveva insegnato ai noi figli a parlare in modo consono alla situazione ma purtroppo la malattia cambia. Cambia le persone. Quindi nonostante questo, mia madre aveva bisogno di me e io di lei, io forse soprattutto di lei. Una delle piu’ grandi difficoltà è stata trovare un nuovo metodo comunicativo, riuscire a stare bene insieme. Io volevo ancora stare bene insieme a mia mamma. E mi sono impegnata, ricercando fra le varie tecniche di approccio, ad ascoltare con attenzione quali ora erano diventato i suoi nuovi canali comunicativi. Perchè mia madre comunicava delle cose, non riuscivo a comprenderle, ma stava comunicando con me, con noi. Ed è proprio attraverso questo allenamento, che i suoi disturbi comportamentali, tuttora presenti, sempre diversi, ci mettono continuamente alla prova, non sono piu’ un limite alla nostra relazione. Stiamo ancora bene insieme. Questa esperienza mi ha arricchito anche professionalmente, sono una infermiera che lavora in una struttura per anziani. Troppo spesso nelle nostre strutture, nei nostri reparti, nelle nostre corsie, nei nostri ospedali, veniamo tutti travolti dalla routine. Quello che viene dopo è sempre più importante della richiesta fatta in quel momento. Stiamo perdendo la capacità di ascolto alle richieste del momento. Rivolte dai pazienti e dai familiari. Il familiare è ovviamente una figura indispensabile per una consapevole ed efficace cura della persona, il familiare ci aiuta a venire a conoscenza del vissuto dell’ammalato con demenza, ci aiuta a capire l’identità di quella persona e infine, ma non per ultimo, contribuisce a garantirne la dignità
Questa è la testimonianza di una figlia, raccolta Al Convegno di Rimini. Lafiglia di persona con demenza, ammalatasi a 62 anni e che fino ad allora era stata il punto di riferimento della famiglia.
Ho deciso di riportare le sue parole, per quanto potevo, in modo fedele, perché le trovo concrete e allo stesso tempo visionarie. Purtroppo non ho sentito il suo nome e non lo posso riportare, ma la sua esperienza è in un certo senso paradigmatica. Conosco altre figlie che hanno cercato anche loro nuove strade e le hanno trovate, ma le cadute sono tante e trovare la motivazione a rialzarsi non è mai scontato. Ad esempio nel Progetto ELSA abbiamo raccolto la testimonianza di un’altra donna di fronte al pasto della madre, vissuto fuori dagli schemi, nello sforzo di recuperare la naturalezza della condivisione e al di là dell’ortodossia.
Questi sforzi per guardare fuori dalla cornice e così ritrovarsi in uno dei mille mondi possibili sono importanti, vanno proposti ad ogni occasione, perché chi sta vivendo queste situazione al momento, ne ha bisogno. Molto bisogno.
httpv://www.youtube.com/watch?v=CZmW4lstLpg
Ha già mangiato un piatto di pasta. Non è così importante che finisca tutto quello che ha nel piatto. Sono stanca, sono arrivata di corsa per poterla far sedere nella sua stanza tranquilla per farla sedere nella sua stanza e stare con lei mentre mangia, invece di lasciarla nella sala comune.
Vorrei che mangiasse di gusto, che mangiasse da sola, che fosse quella che era fino a tre anni fa.
Cosa sta facendo? Cosa vede nel piatto? Anche io osservo il piatto. Guardo i colori, il lucido dell’insalata, i pezzi di pollo dopo un po’ non assomigliano più a pezzi di pollo, ma sono oggetti nuovi, che stanno lì, se li tocco con la punta della forchetta si spostano, e assumono un aspetto nuovo.
Come mi piacerebbero di più? Magari spostati sul bordo, magari anche fuori dal bordo. Ma esiste un bordo? Dove finisce il contenuto e dove inizia il contenitore? E poi la osservo.
E’ tranquilla, concentrata sul compito, deve decidere cosa e dove spostare.
E’ al caldo, all’asciutto, non abbiamo fretta, ha mangiato abbastanza e in ogni caso non ha problemi di peso.
Dimentichiamo che questo è un pasto, che ha uno scopo: nutrirsi. Guardo il piatto, il cibo, lei, la tavola, la stanza. Ascolto i rumori che arrivano dal corridoio e i suoi rari commenti a quello che sta facendo, parole a caso, senza senso, ma il tono è di soddisfazione, di qualcosa che sta andando come vuole lei. Va tutto bene, nel suo mondo. E se mi sforzo di entrarci un po’ anche io, va tutto bene anche per me.
Fra mezz’ora sarò di nuovo in autobus, con l’ombrello che gocciola sui piedi, e le mille cose da fare prima di andare a dormire.
Ma ora mi perdo a guardare quello che ho davanti, senza dargli nomi, aggettivi, semplicemente osservando.
Recupero energia, condivido un altro momento della vita di mia madre.
Per uscire dall’impasse, quando le parole non corrispondono, i gesti sono strani, le mani unte e sporche, dobbiamo fare un percorso di crescita. Come operatori e come familiari, tutti. E’ un lavoro di gruppo. Come paziente devi avere la fortuna di incontrare gente che lavora davvero in gruppo, facendo cultura. Si va avanti tutti insieme o si torna indietro tutti insieme. La sconfitta dell’anziano legato al termosifone mentre le OSS lavano i pavimenti non è la sconfitta solo della persona, è la sconfitta globale, della persona che subisce questo, della OSS, dei parenti, del Direttore, e di tutti. Ci siamo tutti dentro, in un modo o nell’altro (R.B.).