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Serie “Educati alla Cura“
FATTORI CHIAVE NEL PERCORSO RIABILITATIVO POST-ICTUS
di Giuliana Caccavale
Oggi voglio parlarvi di una questione molto dibattuta, cioè quella che ruota intorno ai benefici derivanti dalla frequenza e dall’intensità del trattamento riabilitativo, la cui quantificazione – come spesso succede in ambito neuromotorio – è appunto a tutt’oggi controversa.
Sappiamo che chi riceve assistenza qualificata ha maggiori benefici rispetto a chi invece riceve cure non qualificate, anche se la comunità scientifica non è ancora in grado di stabilire quali aspetti dell’assistenza cosiddetta qualificata siano in grado di fare la differenza (qui vengono considerati aspetti come il lavoro in team e la formazione specializzata dell’equipe curante, la partecipazione attiva della famiglia, la precocità e l’ intensità dell’intervento riabilitativo). Ciò che sappiamo è che l’intensità del trattamento costituisce senz’altro un fattore in grado di fare la differenza in positivo sul grado di recupero funzionale.
A questo proposito, ecco alcuni dati forniti in occasione della giornata mondiale dell’ictus che si è tenuta a Bologna nel 2018, dove è stato presentato uno studio retrospettivo compiuto su 360 pazienti che ha dimostrato che i soggetti che ricevevano più di 3 ore di terapia riabilitativa al giorno presentavano un migliore recupero funzionale rispetto a quelli che ricevevano meno di 3 ore di terapia riabilitativa al giorno. Altre informazioni riguardano le tipologie di pazienti che hanno presentato livelli più alti di recupero funzionale, tra questi: persone colpite da ictus emorragico, quelle con lesioni all’emisfero sinistro, quelle con un più precoce trasferimento presso una struttura di riabilitazione intensiva (Inpatient Rehabilitation Facility) e coloro che avevano usufruito di un ricovero più lungo presso tali centri. Sono state poi fornite informazioni riguardo i tempi di trattamento fisioterapico presso le stroke unit: in media 45 minuti (range 30- 60) di fisioterapia e 40 (30-60) di terapia occupazionale giornaliera. Di questi, solo 36 minuti al giorno vengono utilizzati nel rapporto diretto con fisioterapisti e terapisti occupazionali..
I dati sono chiari e ciascuno potrà trarne le dovute conseguenze.
Ma a proposito dei vari aspetti dell’assistenza qualificata, la cui presenza o assenza può fare la differenza in riferimento ai benefici derivanti dall’intensità dell’intervento riabilitativo, oltre a quelli appena elencati voglio aggiungerne altri due, che invito il famigliare a considerare come elementi chiave all’interno del percorso di recupero perché entrambi sono in grado di fare la differenza. Il primo di questi è il grado di partecipazione attiva del paziente all’interno del percorso di recupero, semplicemente perché in assenza di un suo coinvolgimento partecipe e motivato, i benefici dell’intervento riabilitativo, per quanto esso sia intenso, sono incontestabilmente inferiori. Ma attenzione, perché non meno importante del coinvolgimento attivo del paziente – e qui ecco il secondo aspetto da prendere in considerazione -, è la qualità della relazione terapeutica che si stabilisce tra paziente e fisioterapista.
Ma vediamo ora cosa succede quando il paziente viene dimesso dal centro di riabilitazione e torna a casa. Qui sarà senz’altro importante proseguire la riabilitazione stabilendo un programma tagliato su misura per lui. Mi riferisco non soltanto alla prosecuzione del percorso riabilitativo attraverso sedute di fisioterapia, ma anche all’acquisizione progressiva di fiducia del paziente nel suo ruolo di partecipante attivo e consapevole del proprio percorso di recupero. Il paziente dovrà per esempio diventare consapevole del fatto che non ha bisogno della presenza del fisioterapista ogni volta che si impegna in attività motorie. Compatibilmente invece con la riacquisizione di competenze motorie – e confrontandosi con il fisioterapista tutte le volte che ne sente la necessità -, è importante che il paziente inizi a svolgere in autonomia le attività di tutti i giorni, come per esempio quelle che hanno a che fare con la cura della persona (vestirsi e spogliarsi, lavarsi, radersi/ truccarsi) . In questa fase è molto importante sapere che un buon programma quotidiano, concordato con il fisioterapista, sarà focalizzato su obiettivi funzionali e significativi per il paziente. Un programma con queste caratteristiche, infatti, costituisce una motivazione eccellente che contribuisce ad empowerizzare il paziente e i suoi familiari.
Vi sono pazienti in cui la motivazione è sin da subito molto alta, mentre in altri prevalgono atteggiamenti depressivi e rinunciatari che impattano inevitabilmente sul recupero. In entrambi i casi è comunque importante considerare che il percorso riabilitativo è un processo e, in quanto tale, non è statico ma dinamico. Questo significa che, al suo interno, la partecipazione attiva del paziente e la qualità della relazione terapeutica con il fisioterapista, ne costituiscono gli ingredienti di base, rappresentando tra loro strettamente correlati, perché in grado di influenzarsi a vicenda, ed entrambi fondamentali perché capaci di fare la differenza in riferimento ai risultati.
In alcuni pazienti inoltre è presente una vulnerabilità emotiva che il familiare deve essere preparato a gestire dando risposte emozionali adeguate, non solo per il benessere del paziente ma anche per il proprio. Ecco perché in molti casi dovrebbe essere consigliato un sostegno qualificato al familiare, aspetto questo purtroppo molto spesso ignorato, sottovalutando così la ricaduta positiva che esso avrebbe, non solo sul benessere del paziente ma anche su quello del care giver, peraltro entrambi fondamentali all’interno del percorso di recupero. Non dimentichiamo inoltre che fattori di stress emotivo possono determinare anche disturbi viscerali che, a loro volta, contribuiscono ad aumentare lo stato di malessere generalizzato del paziente, malessere che tra l’altro in alcuni casi egli non riesce a comunicare, amplificandone così il disagio e la frustrazione.
A questo punto, ancora una volta, voglio sottolineare l’importanza cruciale della partecipazione attiva del paziente nel percorso di recupero. Perché sappiamo che quando il paziente sente di ricoprire un ruolo attivo all’interno dell’esperienza che sta vivendo, il tono dell’umore migliora proporzionalmente e la motivazione aumenta di pari passo, innescando così un circolo virtuoso e prezioso in grado di contribuire al miglioramento del suo benessere e, quindi, al raggiungimento degli obiettivi di recupero.
E’ bene chiarire che, quando si parla di centralità del paziente e dei suoi bisogni, ci si riferisce al suo coinvolgimento attivo nella definizione del percorso di cura e dei suoi obiettivi. Qui le aree di possibile problematicità hanno a che fare con aspetti solo in apparenza diversi tra loro perché, in realtà, impattano tutti sulla qualità della vita. E allora, siccome credo sia opportuno che il famigliare sappia quali sono queste aree di possibile problematicità, ecco che tra le più frequenti e importanti in riferimento al loro impatto sul percorso di recupero troviamo quella del riadattamento e reinserimento sociale, quella della mobilità e dei trasferimenti, quella dell’autonomia nella cura della persona, le competenze comunicativo-relazionali , le competenze cognitivo-comportamentali, le funzioni motorie, le funzioni vitali di base e la stabilità internistica.
Sperando di aver fatto un po’ di chiarezza rispetto a questioni ancora controverse, per concludere e tirare le fila di quanto detto, abbiamo imparato che l’intensità dell’intervento riabilitativo è uno dei fattori chiave nel percorso di recupero, all’interno del quale dobbiamo però considerare anche il coinvolgimento e la motivazione del paziente, insieme alla qualità della relazione terapeutica che si stabilisce tra paziente e fisioterapista