Descolarizzare la Società. Chissà quante gliene hanno dette a Illich quando disse che l’obbligo della frequenza scolastica è un impedimento al diritto di apprendere. O quando scrisse che “alla ricerca di nuovi imbuti didattici si deve sostituire quella del loro contrario istituzionale: trame, tessuti didattici che diano a ognuno maggiori possibilità di trasformare ogni momento della propria vita in un momento di apprendimento, di partecipazione e di interessamento”. Peccato che non abbia avuto occasione di riflettere anche sul mondo della “terapia delle afasia” (per quanto Nemesi Medica risulta comunque pertinente e illuminante). Chissà dove avrebbe condotto la sua ricerca controcorrente. Possiamo presuntuosamente immaginare che ci avrebbe aiutati a capire gli inquietanti problemi che si pongono una volta accettata l’ipotesi di una possibile depatologizzazione della Persona con Afasia; a determinare i criteri che possono aiutarci a riconoscere le istituzioni che meritano di essere potenziate per il loro contributo alla qualità di vita delle famiglie con afasia; e a precisare gli obiettivi individuali che possono favorire l’avvento di (quella che lui chiamava) una Età del tempo libero in opposizione a un’economia dominata dalle industrie dei servizi”.
“Le cure mediche vengono scambiate per protezione della salute, le attività assistenziali per miglioramento della vita comunitaria, la protezione della polizia per sicurezza personale, l’equilibrio militare per sicurezza nazionale, la corsa al successo per lavoro produttivo. Salute, apprendimento, dignità, indipendenza e,creatività si identificano, o quasi, con la prestazione delle istituzioni che si dicono al servizio di questi fini, e si fa credere che per migliorare la salute, l’apprendimento ecc. sia sufficiente stanziare somme maggiori per la gestione degli ospedali, delle scuole e degli altri enti in questione (…). L’istituzionalizzazione dei valori conduce inevitabilmente all’inquinamento fisico, alla polarizzazione sociale e all’impotenza psicologica: tre dimensioni di un processo di degradazione globale e di aggiornata miseria. Spiegherò come questo processo di degradazione si acceleri quando bisogni non materiali si trasformano in richieste di prodotti, quando la salute, l’istruzione, la mobilità personale, il benessere o l’equilibrio psicologico sono visti soltanto come risultati di servizi o di «trattamenti» (…) Ricchi e poveri dipendono nella stessa maniera da scuole e ospedali che governano la loro vita, plasmano la loro visione del mondo e stabiliscono per conto loro che cosa è legittimo e che cosa non lo è. Ricchi e poveri concordano nel ritenere che il curarsi da soli sia segno d’irresponsabilità, che lo studiare da soli non dia sicurezza e che qualunque iniziativa comunitaria, se non è pagata dalle autorità competenti, sia una forma di aggressione o di sovversione. Essendo condizionati dalle istituzioni, entrambi i gruppi guardano con sospetto a ciò che si realizza indipendentemente da esse. Il graduale «sottosviluppo» della fiducia in se stessi e nella collettività è persino più evidente a Westchester che nel Nord-est del Brasile. Dappertutto occorre «descolarizzare» non soltanto l’istruzione ma l’insieme della società. Le burocrazie degli enti assistenziali rivendicano il monopolio professionale, politico e finanziario dell’immaginazione sociale, fissando i criteri mediante i quali si deve stabilire se una cosa è valida e fattibile. Questo monopolio è alla base della versione moderna della povertà. Ogni semplice bisogno per il quale si trovi una soluzione istituzionale permette di inventare una nuova classe di poveri e una nuova definizione della povertà. (…) Socialmente i poveri non hanno mai avuto potere. Ma il fatto che dipendano sempre di più da una protezione istituzionale dà alla loro debolezza una dimensione nuova: l’impotenza psicologica, l’incapacità di provvedere a se stessi. (…) La povertà moderna associa all’assenza di potere sulle circostanze esterne una perdita di potenza personale. Questa modernizzazione della povertà è un fenomeno mondiale ed è alla radice del sottosviluppo contemporaneo”.
Imbevuta di disabilities studies mi chiedo da anni se non occorra il disconoscimento del monopolio del sistema medico, cioè di un sistema che associa legalmente il pregiudizio (il problema è NELLA persona) alla discriminazione (la persona VA allontanata), per poi restituire all’ambito educativo l’intervento di aiuto alla Persona con Afasia. Per il riabilitatore ortodosso questa suona come una bestemmia sovversiva e molti direbbero che questa sottrazione al mondo “scientifico” porterebbe a pratiche “non autorizzate”, con conseguenze imprevedibili. Ma chiaramente questo timore è rivelatore soltanto del timore della perdita di ruolo e dimostra di non possedere alcuna nozione di cosa sia un intervento educativo.
Ri-abilitare la Persona con Afasia in un Ospedale, è già di per se’ un ossimoro. Illich direbbe “Come dare a uno zoppo un paio di grucce e stabilire che può adoperarle solo se ne lega assieme le estremità”.
A questo punto occorrerebbe parlare della filosofia inclusiva, dei Learner Centered Principles, della restituzione dell’iniziativa e della responsabilità dell’apprendimento al discente con afasia, della “educazione liberale”, dell’educazione come pratica di libertà.
Occorrebbe.