Quando sento di tutte queste persone bistrattate da un sistema che mastica e sputa chi cammina più lento, chi balbetta, chi non si esprime velocemente, chi viene coinvolto in percorsi riabilitativi interminabili, dai costi ingestibili, senza capirne l’effettiva finalità preche’ questa non viene mai dichiarata quasi fosse un segreto di stato (o di pulcinella?).
Quando intuisco che lavorare con le famiglie per ristabilire connessioni e rapporti, equivale a spegnare un incendio con un ditale perche’ queste poi si trovano ogni giorno immerse in una rete sociale che fa acqua da tutte le parti. Con amici e parenti che scappano o peggio, quando restano, contribuiscono alla progressiva scoloritura “sociale” dei loro cari continuando a trattarli da persone “non ancora integre”, in attesa di essere riaggiustate, cui profondere consigli sull’una o l’altra terapia che li rimetterà in sesto: a seconda dell’orientamento delle diverse persone i consigli saranno diversi “Fai tanta logopedia”, “Piu’ esercizi”, “Una terapia antidepressiva” , “Incontri di teatro/reiki/shiatzu/cristalloterapia/cromoterapia/petherapy…”) e poi, tra un consiglio e l’altro, si scappa comunque per non dover sperimentare la faticosa (ma possibile e importante !) comunicazione con una persona con afasia.
Quando sento interlocutori a disagio, che fingono di aver capito o cambiano discorso nel conversare con una persona con afasia, o vivono momenti di profonda angoscia non sapendo se imbeccare la persona in difficoltà o piuttosto aspettare ma sembra cosi’ terribile quando nessuno ti ha aiutato a capire che è possibile aspettare, osservare e intuire le situazioni in cui devi intervenire e quelle in cui al contrario devi lasciare spazio e tempo alla persona (esistono degli “indici” che si può imparare a riconoscere, se opportunamente addestrati).
Quando vedo gli eserciziari da bambini sui tavoli delle famiglie e scopro che nessuno di loro ha mai ricevuto un training sulla “conversazione”, su cosa la regolamenti nella normalità e su come queste stesse regole tendano a saltare in una situazione di afasia (siamo noi a farle saltare, non la persona con afasia!) ma si tratta di regole che possono essere sfruttate per la felicità delo scambio, una volta che vengono riconosciute e manipolate correttamente !!!!
Quando mi si racconta delle innumerevoli esperienze di familiari che in tanti anni, non hanno mai incontrato qualcuno con cui affrontare le reali problematiche della loro vita (che dovrebbero essere il target di una terapia “moderna”, ad es. il tema della rinegoziazione identitaria) ma afasiologi o neuropsicologi ontologicamente chiusi in una prospettiva autoreferenziale.
Quando torno in Italia e verifico che pochi conoscono e applicano nella loro prassi clinica i contributi portati all’afasiologia dall’epistemologia della complessità, dalla medicina narrativa e dalle afasiologhe attive negli ultimi 20 anni nel Commonwealth.
Quando ascolto gli studenti delle Scuole di Logopedia e scopro che nessuno spiega loro che nel nostro paese è sempre mancata una sintesi fra il punto di vista dei teorici e quello dei terapeuti/terapisti. Gli studiosi hanno tentato di fornire modelli di processazione del linguaggio per spiegare come mai un aspetto fosse perso e un altro risparmiato. A parte l’osservazione del recupero spontaneo e la spiegazione speculativa del fatto che aree integre andavano a vicariare le aree danneggiate sostituendole dal punto di vista funzionale (usualmente nell’emisfero opposto), storicamente gli afasiologi sembrano essersi abbastanza disinteressati di tutto cio’ che riguarda la dimensione del recupero. I riabilitatori da parte loro, si sono sempre interessati principalmente a come facilitare il recupero dei loro pazienti, anche al di là di metodi scientifici. Se qualcosa funzionava, la usavano.
Quando realizzo che i/le logopedisti italiani sono ancora convinti di dover “curare” l’afasia e non di doverla capire, come prima cosa. Quasi come se si trattasse di una machina rotta e il loro ruolo fosse quello di “aggiustarla” o almeno regolarne il minimo. Motivo per cui si sono diffuse pratiche terapeutiche banali e scarsamente significative sul piano dell’efficacia.
Quando sfoglio gli Atti di Congressi italiani e mi rendo conto che le persone con afasia sono sempre e solo nomi astratti [ casi clinici] e mai divengano (nella consapevolezza di chi discetta su di loro) uomini e donne concreti, che spesso subiscono ingiustizia e soverchiamento in Ospedale, in casa, sul lavoro, nelle Associazioni e nei testi scientifici.
Quando leggo brochure di Convegni dove si dichiara tranquillamente che “Comprendere come il nostro cervello realizza il linguaggio è una delle ambizioni che la ricerca neuropsicologica coltiva sin dai suoi esordi. Una questione così complessa può essere affrontata solo attraverso la coordinazione di discipline differenti, ognuna caratterizzata da strumenti di indagine specifici. Il contributo che lo studio dei malati colpiti da patologie del linguaggio forniscono a questo campo di ricerca rimane centrale. La disponibilità di metodi di indagine del cervello normale e patologico hanno aperto una serie di nuove prospettive, che da un lato confermano le acquisizioni tradizionali, dall’altro aprono nuovi interrogativi di carattere generale sul rapporto tra funzioni mentali e meccanismi neurologici, sulle basi biologiche del recupero e sull’effetto degli interventi riabilitativi” e rimango l’unica a denunciare il fatto che dovrebbe esserci piu’ chiarezza rispetto al fatto che spesso le persone sono inserite in percorsi utili soltanto a produrre “dati scientifici” e non ad aumentare il loro benessere.
Quando intuisco che i primi a non credere alle capacità delle persone con afasia sono certi neuropsicologi, che poi conducono gruppi dai nomi altisonanti entro i quali, sappiatelo, le persone sono molto piu’ consapevoli di quanto crediate circa le vostre reali motivazioni.
Quando un familiare mi dice “Mi rendevo conto che quella certa situazione non era l’ideale per noi, ma cosa potevo fare? Noi siamo vulnerabili perchè abbiamo bisogno”.
Quando questo bisogno viene cavalcato dalle esigenze dell’uno o dell’altro riabilitatore o servizio o dipartimento universitario.
Mi fa male il mondo.
Ci fa male il mondo.
Anche a me “fa male il mondo” da tanto tempo, prima dell’incontro con l’afasia di mio marito. L’umanità adopera un’enorme energia per questioni di poca importanza, come il tifo calcistico o le diatribe politiche, per poi lesinare attenzione a ciò che veramente è importante e ritrovarsi, come sempre è accaduto nella storia, in drammi collettivi (un esempio sono stati i totalitarsmi del Novecento)e/o individuali, per mancanza di attenzione e consapevolezza.Nonostante questo esistono degli esseri umani che continuano imperterriti a credere che l’uomo ha diritto a stare bene, quindi continuano a lavorare in tutti i campi per questo. Quindi, per tornare all’afasia, ci sono persone che lavorano per migliorare la vita degli afasici e dei loro familiari e noi guardiamo a loro e con loro cerchiamo di migliorare un pò questo mondo perchè faccia sempre meno male.