Il tempo per sé come tempo del riconoscimento e della riappropriazione di un luogo di consistenza originario e interno, necessario come primo momento di rappresentazione di sé indipendentemente dall’altro, può essere considerato anche come un tempo di attenzione al corpo e ai suoi sintomi, alle sue necessità, all’immagine che trasmette e che di esso abbiamo (…). È pur vero che in presenza di disabilità il mondo perde la sua fisionomia perché diminuisce quel dialogo tra corpo e mondo grazie al quale le cose si caricavano delle intenzioni del corpo e il corpo raccoglieva quei sensi che erano genericamente diffusi tra le cose. Ora a far senso non è più il mondo, ma il corpo che la malattia trasforma da soggetto di intenzioni a oggetto di attenzione; lo spazio che interessa si riduce alle dimensioni dell’ organismo e il tempo al decorso della malattia. L’io-penso, che potrebbe spaziare oltre i confini angusti della stanza, in realtà si riduce ai limiti dell’io-posso, perché non è la realtà del mondo, ma la possibilità di viverlo a promuoverne l’interesse. Ed è proprio la capacità di tollerare una riduzione delle relazioni con l’ambiente una delle peculiarità di quello che Khan definisce: giacere incolti (come un campo lasciato a maggese) . [Paola Donadi, Brevi riflessioni su disabilità e appartenenza di genere]
Il Tempo della Salute
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