Silvano Corli in un Seminario di Studi su Famiglia e Alzheimer disse “…volevo richiamare alla vostra attenzione l’immagine di questa Pietà di Michelangelo, che non è quella, più famosa, di Roma, ma che si trova a Firenze (…) . Questa Pietà mostra il Cristo deposto dalla Croce con al fianco la Madre Maria, la Maddalena e dietro, Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea (secondo la versione evangelica). Ed è una Pietà che ci sembra normale: sono tutti lì per sostenere il Cristo che è deposto, il sofferente; un “corpo curante” che si preoccupa di Colui che ha sofferto e che in questo caso è morto. Questa Pietà però può essere vista anche da dietro, è collocata in una zona tonda per cui è possibile girarci attorno. Ma se voi girate attorno alla statua (…) notate che la mano di Nicodemo non sostiene il Cristo; la mano sinistra di Niccodemo si appoggia a Maria e sostiene Maria; questo sostegno a Maria è il segno che certo, si può sostenere il Cristo (e quindi colui che soffre) anche sostenendo la famiglia, in questo caso la Madre che sta prendendosi cura di suo Figlio”.
Pensiamo alla famiglia di una Persona con Afasia. Invece di tenerla lontana dalla “stanza della logopedia” pensiamo alla famiglia che vive ogni giorno l’incertezza di una comunicazione intima violata dalle pause, dai silenzi, dallo sconcerto di scoprirsi soli di fronte ad una nuova vita.
Pensiamoci e parliamone con loro che più e meglio di noi conoscono l’intimità perduta e il peso del silenzio. Se esiste una nuova dimensione, se è possibile trovare un’equilibrio (come ci insegna Gadamer l’arte medica non coincide con la creazione di una nuova situazione di stabilità ma nell’assestare l’equilibrio precario già esistente), sarà a partire da loro.
La storia la ricostruiranno loro. Loro, non noi.
Nel caso presentatoci da Alessandra, cioè nel caso della morte, che è un fatto definitivo, l’unico, credo, nella vita di un essere umano, è indubbio che chi è da sostenere è colui che ha amato il morto. Vi voglio però raccontare un’ altra situazione, completamente agli antipodi. La nascita di un nuovo essere umano vede coinvolta una coppia, certo, ma con compiti diversi. Il padre dovrebbe abbracciare e sostenere madre e figlio che vivono in simbiosi almeno fino allo svezzamento del piccolo. Il padre dovrebbe prendersi cura di entrambi, questa volta non sofferenti nel senso tradizionale del termine, ma sicuramente due persone che vivono un cambiamento radicale, chi perchè inizia il viaggio della vita, chi perchè vede che il suo viaggio ha volontariamente, quasi sempre, subito un’inversione di marcia.Finiti i confronti, certo che la stanza della logopedista dovrebbe essere aperta ai parenti, non solo per raccontare, ma per condividere.Fu quello che chiesi il primo giorno e poi anche quelli successivi. Una sola volta sono stata accolta e ho potuto constatare il lavoro e imparare.Il parente è spesso vissuto come un intralcio, non come una risorsa, così come nel mio lavoro il genitore e l’insegnante non hanno ancora scoperto che l’alleanza educativa è l’unica strada per crescere dei cittadini responsabili.