Articolo di Shirley Morganstein tratto dal suo Blog “Reflection in Aphasia Therapy”, trad., e liberamente modif da A. Tinti
La morte non è un compagno di viaggio frequente per noi logopedisti/e , ma ci sono momenti in cui affianca i nostri pazienti.
Nella mia pratica recente, ho incontrato due persone anziane con Afasia Progressiva Primaria , che ancora attive e vigorose, con il supporto dei loro mariti , si trovano ad affrontare il declino inesorabile e la morte , probabilmente entro un anno o due . Ciascuna in modo diverso , mi dimostrano che è davvero così, anche se insieme lavoriamo per raggiungere qualche insperato successo nel linguaggio o nelle attività sociali , o sviluppiamo modi per mantenere il loro coinvolgimento nella vita delle persone che amano. E ‘ difficile per me , questa testimonianza di un’esperienza altrui .
Ancora più difficile è guardare lo stato emotivo di una persona muoversi verso, e poi realizzare, un tentativo di suicidio .
Dimentichiamo che abbiamo fatto tutte le cose giuste : la condivisione di informazioni con le moglie, gli psichiatri e i neurologi , facendo attenzione che sapessero su quale precipizio si trovava. Dopo oggi , è altamente probabile che sarà ricoverato in una struttura psichiatrica . La psicofarmacologia , la psicoterapia , e anche la stimolazione cerebrale transcranica non hanno modificato quello che a lui sembra l’unico percorso di azione possibile-
Dal momento che lui può camminare e parlare , e anche giocare a squash, molti fra gli amici e i parenti non capiscono la profondità della sua perdita . Gli dicono che sono sicuri che tornerà al lavoro, anche se il lavoro che ha scelto, che richiede una notevole abilità verbale e intellettuale , rispetto alla quale lui aveva pochi concorrenti, è ormai del tutto fuori portata. Il suo lavoro era la sua definizione di sé – il suo nucleo . E ora , non c’è più .
Nei sui confronti ho avuto solo un ruolo per molte settimane : validatrice . Aveva provato il sollievo di avere qualcuno che desse voce alle sue dichiarazioni di perdita , e , in questo processo , riconoscesse il suo diritto di piangere . Il terapeuta relazionale a volte deve ingerire dolore per diminuirlo.
Quindi, il dolore, deve vivere in me ?
Riflessioni di Shirley Morganstein, Logopedista Relazionale
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