Non voglio dimenticare che questo blog nasce essenzialmente per approfondire l’impatto che le pratiche di cura hanno sulla persona con afasia, in Italia. Dunque per quanto personalmente non siano più motivo di interesse per me, voglio riflettere su quegli spazi di cura “tradizionali” entro i quali operano molti riabilitatori. In questo senso è ovvio che si parli di modelli o meglio della mancanza di modelli teorici che supportino la prassi. Insisto da sempre sulla povertà degli studi che caratterizzano lamia categoria professionale (intendo le ore di studio dedicate a riflettere anche sul significato del proprio intervento clinico) e sulla incompetenza che ne deriva…eppure come ognuno di noi interpreta l’afasia, la lettura che tende a darne, influenza in modo marcato la sua prassi, cio’ che sarà in grado di fare come medico o come riabilitatore. E’ quindi professionale oltre che utile, usare un modello, un framework, che supportino il ns operato e giustifichino il ns punto di vista di fronte ai pazienti, alla ns organizzazione e ai colleghi..
Il problema della terapia della afasia, ancella di un mondo riabilitativo già di per se’ poco considerato dalla medicina, è che è sempre stata caratterizzata da conoscenze implicite. Inoltre si occupa di una condizione di vita che non ha nulla di fisico, quindi accessibile agli strumenti del modello biomedico tradizionale, che sfugge alle misurazioni oggettive. Secondo Howard e Hatfield esistono molti studi che descrivono nel dettaglio i deficit sottostanti le difficoltà del paziente afasico ma confrontate con questi, le tecniche utilizzate nella pratica quotidiana dai logopedisti appaiono troppo semplici e non rendono conto della complessità del problema. Questo accade perche’ manca una metateoria esplicita che metta in relazione il deficit analizzato con il processo riabilitativo. Un’altra ragione è che quasi sempre ciò che il logopedista fa’ diventa qualcosa di intrinseco alla sua performance come terapista (l’arte!). E’ come se il buon logopedista avesse una sorta di pilota automatico che, attivato, gli suggerisce come strutturare una task, come e quando modulare una risposta al comportamento del paziente e cosi’ via. I logopedisti prendono decisioni continuamente durante una seduta, operano scelte, ma su quali basi? Come fanno a capire se il giudizio è corretto? Come valutano se il trattamento che stanno conducendo è efficace e come capiscono quale parte del processo è opportuno modificare (la task, l’interazione, il materiale)? Molti sostengono che si tratti di “intuizione clinica” o esperienza. Il risultato è che non c’e’ niente che puo’ essere fatto per rendere un logopedista, un bravo logopedista nel trattamento della afasia, o hai quel qualcosa o ciccia…
Ora, è chiaro che trattandosi di un processo che implica una relazione dinamica tra individui ci sarà sempre qualcosa che sfuggirà all’oggettivazione, ma cio’ non significa che l’intero processo debba rimanere inaccessibile all’esplorazione scientifica, alla sua descrizione o misurazione. C’e’ chi (sempre Howard e Hatfield) ha descritto le scuole, gli orientamenti riabilitativi suddividendoli in scuola comportamentale, cognitiva neuropsicologia, ecc.ecc. affermando che ognuna di queste comprende riabilitatori che condividono certi assunti fondamentali sulla natura della afasia e sul processo terapeutico. In realtà, rispetto al processo terapeutico, noi non sappiamo in che cosa differiscano esattamente le varie scuole perche’ in letteratura non c’e’ mai stata nessuna spiegazione esplicita sul processo terapeutico vero e proprio (e non sulle modalità di esercizio, i materiali, ecc.ecc….) ma su come funziona qualcosa, perche’ si realizza, ecc.ecc..
Sarebbe bello sentire il parere di qualche collega ancora convinto dell’importanza del suo setting o qualche neuropsicologo che nel 2008 ami ancora dilettarsi coi “buffer”…anzi no, oggi si preferisce parlare di “valutazione della competenza pragmatica residuale”, di “coaching pragmatico funzionale”…sarebbe bello sapere da questi esperti come hanno agilmente superato la difficoltà di mettere in relazione i risultati ai vari test/questionari/analoghi visivi con l’abusatissimo concetto di Qualità di Vita della persona con Afasia o ancora, come riescono a rimuovere dai loro discorsi ogni riferimento alla questione del Potere nella relazione con un soggetto che non ha piu’ confidenza con lo strumento verbale …
Operare senza modelli
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