Cosa accade della capacità lavorativa dopo un ictus?
Difficile generalizzare, ogni ictus ha conseguenze diverse come si può immaginare. ma sul sito Healthdesk troviamo dati recenti emersi nel corso del Convegno “Ictus: fattori di rischio, prevenzione e riabilitazione”, organizzato dalla Fondazione Santa Lucia IRCCS e da INAIL a Roma. Le problematiche che causano maggiori difficoltà di reinserimento sono le disabilità cognitive, i deficit di attenzione, l’afasia, e la depressione.
Stesse conclusioni si traggono da uno studio inglese pubblicato sul BMJ secondo il quale “le persone reduci da un ictus, quando rientrano sul posto di lavoro, hanno maggiori probabilità di affrontare disabilità non obiettivabili, come affaticamento, problemi della memoria e della concentrazione”.
Ma chi sono quelli che ritornano a lavorare?
Secondo le ultime rilevazioni “I professionisti con un livello di scolarizzazione più alto e un’attività lavorativa più intellettuale hanno una probabilità tre volte più alta di tornare al lavoro dopo essere stati colpiti da un ictus cerebrale rispetto a persone che svolgono professioni manuali. Complessivamente, riesce tornare al lavoro, circa il 70 per cento degli umani sotto i 65 anni contro il 48 per cento delle donne”.
Dunque più uomini che donne e più accoppiati che single (questi ultimi rappresentano la maggior percentuale di abbandoni).
Una spiegazione la propongono studiose dell ‘Università Ca’ Foscari di Venezia. Il loro studio riguarda il tema del rientro al lavoro di pazienti guariti da gravi patologie, come ictus e cancro, e loro comportamento in base al sesso.
La ricerca, oltre a fornire informazioni molto particolari (pare appunto che i single rischino, più di altri, di uscire dal mercato del lavoro), rivela che il primo episodio di infarto, ictus o cancro finisce col raddoppiare il rischio che un ultracinquantenne non lavori più. Ma pare che i comportamenti di chi riprende a lavorare, differiscano in base al genere.
Gli uomini una volta tornati al lavoro tendono a lavorare più ore, mentre le donne – se in condizioni di farlo – preferiscono avere più tempo libero dal lavoro, percependo un accorciamento della propria speranza di vita. Secondo Francesca Zantomio, “sono proprio le donne più istruite a ridurre maggiormente lo sforzo lavorativo, nonostante siano colpite da peggioramenti di salute meno gravi. In questo caso potrebbe rivelarsi inappropriato insistere per un completo reinserimento lavorativo. Chi non ha un partner sul quale contare per un aiuto pratico, ad esempio nella cura personale o domestica, o nel trasporto al lavoro, mostra particolari difficoltà e rimane attivo, anche se, proprio in assenza di altre entrate familiari, rischia di subirne pesanti ricadute”.
Cosa si nasconda dietro questa ennesima disparità, al di là della visione romantica (e ingenua) per cui le donne “apprezzerebbero” più degli uomini il valore della vita al di la del lavoro, meriterebbe maggiori approfondimenti.
Si tratta di una questione riguardante la condizione femminile nel mondo del lavoro al di là delle situazioni di malattia ma anche in quest’ambito non si scherza con le differenze di trattamento che, nello specifico, possono diventare causa di incuria e negligenza.
Si può entrare nel merito di quanto l’ictus colpisca con modalità peculiari, per ragioni sociali e culturali, le donne, sfogliando il documento ” Lives disrupted: The impact of stroke on women“, prodotto dalla Heart and Stroke Foundation canadese, molto attiva nel tentativo di colmate il gap in medicina tra pazienti uomini e donne.
Salve
Mi chiamo Roberto Dilena ho 57 anni di età e ho avuto un ictus nel 2011 anche se sono “almeno” normale cerco lavoro
Saluti