Durante la quarta edizione della “La Storia in Piazza” , svoltosi dal 18 al 21 aprile al Palazzo Ducale di Genova, è stata presentata la mostra In Between di Vera Comploy, fotografie in bianco e nero che “evocano un momento di sospensione, un rito di trasformazione di passaggio, catturando una serie di drag queen della scena underground americana nei momenti che preludono la loro entrata in scena, ritratte attraverso vertiginosi inquadramenti prospettici e inaspettati tagli compositivi, sospesi tra l’identità maschile e quella femminile, tra la persona e il personaggio”.
Finalmente anche Genova si apre all’attualità, e si accorge di temi all’estero ormai entrati nella logica comune (es. l’idea che l’identità maschile e fmminile siano in gran parte il risultato di costruzioni culturali, a cui corrispondono di volta in volta ruoli e stereotipi diversi, mutevoli nel tempo) e permette ai propri concittadini di acquisire “una prospettiva nuova attraverso la quale guardare i percorsi della storia umana” (cit. virgolettate tratte dalla brochure del programma del Ducale).
E allora come mai questo cartello appeso fuori dalla mostra?
Un monito assolutamente gratuito e inspiegabile, data la natura delle foto in cui nulla appare di licenzioso o scandaloso. Dunque c’è da pensare che sia il tema stesso, a spingere gli organizzatori a mettere le mani avanti e cautelarsi…rispetto a cosa? Il tema della Storia in Piazza era “L’Identità Sessuale”, con questa edizione ci si proponeva di “affrontare il mutamento profondo delle culture, individuali e collettive” e poi ce ne usciamo con un cartello così patetico?
Visitando la mostra, grazie a Vera Comploy per un momento ho pensato di trovarmi “in un mondo parallelo, in un ambiente in cui le distinzioni di genere e la rigida separazione tra realtà e immaginazione sembrano non esistere”, ma uscendone – grazie a chi ha avuto la splendida idea del cartello intriso di adversive discrimination – questa sensazione è scomparsa, e ho colto il desiderio di chi ha affisso il cartello di farmi sentire non “confidente specchio umano delle emozioni dei personaggi che la Comploy sceglie di ritrarre” ma voyeuse.
Lo stesso accade nel mondo della disabilità, quando si dice una cosa e con i gesti si manifesta un messaggio opposto e contrario (es. durante un viaggio di lavoro con collega architetto in carrozzina, tutti a preoccuparsi che avesse freddo e per averne conferma lo chiedevano a me piuttosto che al diretto interessato, il cui mancato uso della gambe rendeva agli occhi degli altri lui, un bambino inerme, e io madre; però apparentemente erano tutti gentilissimi).
Entra in gioco la stessa componente morale scandalosa, per cui la diversità fisica dalla norma fa loro dei devianti. Il tragico è che quel cartello sia apparso durante un evento culturale che si proponeva ben altro
Ma volendo essere positivi, segnalo che lo stesso Festival ha proposto alcuni eventi di nicchia, tipo l’incontro con Mirella Izzo, che ha aperto uno spiraglio sull’età contemporanea (tra parentesi invito a leggere il suo interessante testo “Oltre la gabbia dei generi“, Giunti Editore)
La discriminazione nascosta tra le righe
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