Capita, quando vai a lavorare in autobus, che al ritorno, alla fermata, qualche familiare – che ti ha visto girare in camice per i vari piani della struttura – ti fermi per parlarti dei guai del suo parente che conosci solo di vista, perchè ricoverato.
Capita che a volte siano madri anziane di figli dai trascorsi difficili e burrascosi, adesso ospiti permanenti di luoghi di cura poco adatti a dei 40enni (ma a chi sono adatti?).
Capita che queste madri inizino a raccontarti una storia incredibilmente complessa di errori, sfortune e piccole tragedie quotidiane e si dichiarino stanche ma impossibilitate a mollare (“siamo madri” mi dicono, della serie “fine-pena-mai“)
Capita poi – a volte – che dal racconto dei drammi passino a quello degli aneddoti che le riguardano personalmente, la visita dal medico per l’invalidità , il dolore alle ginocchia che però “passa ballando” e di racconto in racconto tu quasi non te ne accorgi ma cominci a conoscere i nipoti che ha allevato, sai dove abitano, che non gli piace l’opera, che vanno raramente a trovare il padre e un pò li capisci e intanto lei – la madre-nonna-sempiterna nutrice ha cominciato a cantarti una canzone calabrese che poi sfuma con armonia nel “Vincerò” di Puccini e alla fine ti trovi in una piazzale enorme, battuto da un vento freddo, a guardare una donna anziana che balla e ti gira intorno e ti prende sottobraccio e canta, canta, canta….
Nella stessa giornata vedo un essere umano strattonare un altro essere umano, ne vedo un altro coccolare una persona fragile e ancora uno che balla sulle sue disgrazie….
Tutto ciò in una sceneggiatura risulterebbe inverosimile. E’ troppo, mi direbbero.
E invece…
Inno alla gioia
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