In un articolo su Repubblica, di Irma D’Aria troviamo le seguenti informazioni :
“Solo nel 20-25% dei casi i pazienti che hanno subito un ictus hanno davvero bisogno di una riabilitazione che gli faccia recuperare i danni, Un altro 30% muore entro i tre mesi dall’evento, il 25% ha avuto delle conseguenze lievi che non necessitano di riabilitazione ed un altro 25% è costituito da soggetti che erano già molto compromessi prima dell’ictus (come anziani o pazienti affetti da demenza) per i quali un percorso di riabilitazione non è indicato” (Leandro Provinciali, Dipartimento di Scienze Neurologiche degli Ospedali Riuniti di Ancona)
“Che si tratti del coniuge, del figlio o di un altro parente, l’impatto del carico di cura sulla vita dei caregiver è assolutamente dirompente: nel citato studio Censis, il 77,6% indica che in seguito all’esperienza assistenziale la sua qualità della vita è peggiorata o molto peggiorata, e per il 55,7% di essi il coinvolgimento in questi compiti implica una rinuncia totale al tempo libero e spesso anche al lavoro. Sotto il profilo psico-fisico ne consegue che nel 72,1% dei casi i caregiver intervistati hanno indicato di sentirsi fisicamente stanchi, il 57,1% di non dormire a sufficienza e il 24,8% di soffrire di depressione. A queste circostanze più diffuse, si aggiungono i casi in cui i familiari-assistenti hanno indicato conseguenze più serie rispetto alla loro salute per cui il 10,3% è dovuto ricorrere a supporto psicologico e il 6,5% è stato ricoverato in ospedale”
Fino a quando la riabilitazione post ictus si rivolgerà solo alla componente funzionale della persona colpita, l’esperienza resterà devastante per l’intero nucleo familiare
E’ ora che il sistema sanitario capisca che la presa in carico non riguarda solo muscoli, “buffer fonologici” e memoria di lavoro
L’ictus è l’interruzione di un modo pregresso di vivere. E per cominciare tutti insieme una nuova vita, occorrono ben piu’ di due sedute alla settimana in palestra (quando sei fortunato ad usufruirne, si intende)